Un libro |
Mi piace pensare che tutti i motociclisti abbiano letto questo
fantastico libro, uno di quei pochissimi capaci di far cambiare il
modo di vedere le cose, di "svegliare" le persone insomma. Questo post non vuole essere altro che un piccolo suggerimento per coloro i quali non lo avessero ancora letto. Vuole essere inoltre un'ennesima esternazione del mio modo di pensare e di vivere la moto, sperando di trovare qualcuno che condivida il mio pensiero o anche qualcuno che vi si opponga e mi faccia conoscere il suo. Premetto che per moto intendo, ovviamente, sia moto come 125 di cinquant'anni fa,che grosse cilindrate ultramoderne, perché amare una moto non è questione né di età (della moto o del possessore) né di potenza (della moto). E non si pensi che avere una moto sia roba per ricchi. Si trovano moto usate a prezzi accessibilissimi e basta avere tanta buona volontà e pazienza per imbarcarsi anche in qualche modello "datato" e dargli una sistemata (come ha fatto il sottoscritto). Io amo anche le macchine e non nego di avere una spudorata passione per qualche vettura a quattro ruote, ma possedere una moto non è come avere una macchina, il rapporto è molto più intimo. La macchina contiene, ingabbia mentre la moto, si indossa come fosse un maglione e lei indossa chi la guida; il contatto fisico è molto più stretto e reale e sentire le vibrazioni del motore che pulsano direttamente sotto al proprio corpo è una sensazione indescrivibile, quasi che la moto fosse viva. Come dice l'autore del libro che fra poco citerò, il paesaggio visto dal finestrino di una macchina è come un film in tv, rimane oltre il vetro che mi contiene e siamo separati. In moto IO faccio parte del paesaggio e ne sono sommerso totalmente. Poter fare una passeggiata lungo la strada costiera, ricca di tornanti a strapiombo sul mare, al sabato pomeriggio è una delle gioie più grandi che la vita mi possa dare. Mi rilasso completamente e non penso a niente, sento solo il rumore del vento che sibila contro il casco e il rombo deciso e rassicurante del motore. Incrocio altri motociclisti e ci salutiamo senza nemmeno conoscerci, nei chioschi e nei bar mi metto a parlare della moto con perfetti sconosciuti e ci si lascia come se si fosse amici da sempre. Mi sembra quasi di far parte di una "setta" e che dovunque vada possa sempre contare sull'aiuto degli altri motociclisti. In ogni caso, la cosa più emozionante è, a parer mio, usare la moto, di notte tardi in inverno, quando per le strade c'è pochissimo traffico. Fa piacere sentire il freddo fuori dal casco e dal giubbotto, come quando si sta in tenda e fuori piove. Siamo io e lei da soli, l'asfalto che scorre sotto lo spicchio di luce del faro e il rumore cupo e soddisfatto dei quattro pistoni che salgono e scendono a ottomila giri. Tutto assume un'aria così serena e irreale, tutto è pace, non esiste nient'altro che la strada, niente pensieri, guido senza pensare, affidandomi completamente ai riflessi. Vorrei che continuasse per sempre, che la strada non finisse mai. Se sono fortunato il cielo è limpido e lo spettacolo delle stelle mi fa sentire come parte integrante del "tutto", finalmente vicino all'essenza delle cose. E mi diementico completamente che sto guidando un "semplice mezzo meccanico". Si si, va bene, può darsi che io sia anche feticista, malato, depravato, ma provatemi a dire che non si prova uno strano piacere sensuale a distendersi sul serbatoio di una moto, stringendo le gambe per rimanerci attacato in accelerazione!!! Comunque si crea quel sentimento di devozione, rispetto e amore verso la propria moto, che, secondo me, è in grado di trasformare le persone. Le cure che un motociclista medio ripone alla sua moto sono di gran lunga superiori a quelle che un automobilista ripone alla propria vettura. Il motociclista più pigro o svogliato non esita a sporcarsi le mani cambiando una candela, ingrassando la catena o pulendo il filtro, mentre l'automobilista si rivolge al meccanico o alle stazioni di servizio anche per le più evidenti banalità. Perché avere una moto significa amarla come un cowboy amerebbe il suo cavallo. Come motociclista sono talmente innamorato della mia moto che se questa mi dovesse lasciare a piedi, di notte, nel bel mezzo di un temporale penserei "poverina, ti ho trascurata troppo, hai tenuto duro, stoicamente, ma non ce l'hai fatta più, come ho fatto ad essere così insensibile nei tuoi confronti? Come ho fatto a non accorgermi che stavi male? Certo, tu sei buona e, per non darmi un dispiacere, hai fatto di tutto perché io non capissi, ma mi sento un mostro! Come ho potuto essere così cieco? Ti prego perdonami!" e magari mi leverei la giacca per coprirla e proteggerla dalle intemperie; mentre non esiterei a prendere a calci ed insultare una macchina che dovesse abbandonarmi nella stessa situazione, magari perché rimasta senza benzina a causa della più banale delle negligenze umane. Con la macchina do per scontato che debba funzionare e portarmi ogni giorno a casa, mentre con la moto ogni viaggio è una fantastica avventura e quando mi riaccompagna al focolare domestico so che lo ha fatto solo perché lei lo ha voluto, perché è contenta di come la ho curata, rispettata ed amata. Mi fido poco dei meccanici e tento di fare tutto il possibile per conto mio prima di arrendermi e portare la tanto amata due ruote in un'officina. Quest'ultima deve, ovviamente, godere della massima fiducia e deve rispondere a requisiti rigorosissimi, ovvero deve essermi stata consigliata da almeno una ventina di amici motociclisti, senza che si conoscano fra di loro (per evitare false pubblicità), che abbiano usufruito dei suoi servizi e che possano dimostrare la validità degli interventi sul loro mezzo. Durante i giorni in cui è in "cura" vado a trovarla spessissimo e mi si spezza il cuore a vederla smontata così, ma cerco di sorriderle lo stesso per non farla preoccupare. La maggior parte degli interventi, comunque, li effettuo da solo con una delicatezza e una cura che la mia ragazza ritiene impossibili sgorgare dalle mie mani ed è tuttora convinta che io venga posseduto dallo spirito di qualche santo non appena mi accingo a fare un intervento sulla mia piccola. Cambio letteralmente personalità quando devo fare qualche lavoro alla moto. Solo chi ha perso delle intere domeniche a fare un cambio di pastiglie o a tarare la carburazione può capirmi. Certo sono operazioni che nella peggiore delle ipotesi richiederebbero qualche ora. Ma non si può pensare di fare un intervento sulla moto per un fine meramente utilitaristico, è piuttosto un'occasione per starle vicino e per stare da soli e, perché no, per rilassarsi e pensare un po' in silenzio, cosa che tendiamo a fare sempre meno. Smonto la moto con una calma densa di rispetto e devozione, riponendo ogni attrezzo ed ogni pezzo con ordine e pulizia (questa è la cosa più strana), ogni bullone che smonto viene pulito e ingrassato, ogni pezzo riposto con delicatezza dopo essere stato lucidato. Non oso praticare alcun tipo di forza bruta per svitare bulloni o smontare incastri e faccio tutto con largo ausilio di stoffa e gomma a proteggere i punti di contatto con gli attrezzi, mentre con la macchina non disdegno l'uso di mazzuole e cunei in ferro oltre a una buona dose di imprecazioni che coinvolgono tutta la famiglia, la dinastia completa e i vicini di casa del costruttore del modello, del suo disegnatore e di tutti gli operai della catena di montaggio. Fino a poco tempo fa non avrei osato scrivere delle frasi del genere per paura di essere preso per matto e gettato in una cella imbottita. Tenevo queste idee per me e, quasi, mi stavo convincendo che qualcosa non andasse per il verso giusto nel mio cervello. Poi ho letto un libro che mi ha fatto capire che almeno un'altra persona la pensa come il sottoscritto, e che forse si tratta di più di una visto il meritato successo riscosso da questo titolo: LO ZEN E L'ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA MOTOCICLETTA di Robert M.Pirsig, edizione "gli Adeplhi", L.16.000. In questa magnifica opera l'autore utilizza, con una semplicità di linguaggio disarmante, il pretesto di un viaggio in moto attraverso gli States per descrivere come egli vede la vita e concepisce l'esistenza. La moto e la sua manutenzione vengono utilizzate per descrivere il suo metodo di approccio alle difficoltà dell'esistenza ed il piacere del viaggiare su una moto che viene mantenuta in efficienza dalle proprie mani rappresenta la felicità di chi vive in maniera consapevole e completa. Ricco di spunti di riflessione e di trovate umoristiche è senz'altro una lettura consigliabilissima per chiunque, a prescindere dalla "malattia della moto". Il discorso di fondo è inoltre imperniato sul concetto di qualità" espresso dall'autore, una sorta di QI (in cinese) o KI (in giapponese) moderno, ovvero una "energia vitale" che risiede in ogni cosa. Il concetto espresso nel libro è senz'altro più facile da capire e più vicino alla nostra mentalità di quanto non possa esserlo quello tipicamente orientale. Secondo l'autore le cure e l'attenzione riposte nella moto si tradurrebbero in una sorta di energia positiva che contribuirebbe a rendere la moto efficiente e funzionante così come per qualsiasi altra situazione della vita reale. Ora non so se chiamare questa cosa Qualità, Ki, Qi, fluido, o quello che volete, so solo che funziona e non trovo poi tanto strano che una moto trattata con passione e amore debba funzionare meglio di una affidata solamente ai meccanici! |
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